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Samudaya: Svelare l'Origine della Sofferenza nel Buddhismo

Trovata la Causa, Trovata la Via

 

Nell'articolo precedente su Dukkha, abbiamo fatto un atto di grande onestà: abbiamo guardato in faccia l'insoddisfazione della vita. Ora, la domanda sorge spontanea: "Ok, ma perché? Da dove arriva tutto questo?".

La risposta del Buddha è la Seconda Nobile Verità, Samudaya, che può essere tradotta come "l'origine" o "la causa". E questa è una notizia meravigliosa. Perché? Perché se la nostra sofferenza avesse un'origine, significherebbe che non è casuale né una punizione divina. E se ha una causa, allora possiamo fare qualcosa al riguardo. Possiamo sradicarla.

Il Buddha ha identificato questa causa con un nome preciso e potente: Taṇhā.

 

La Causa ha un Nome: Taṇhā, la Sete Insaziabile

 

Taṇhā (in lingua Pali) si traduce letteralmente come "sete". Ed è un'immagine perfetta. Non è un semplice "desiderio", è una brama profonda, un'arsura che ci spinge a cercare costantemente qualcosa al di fuori di noi per placarla. È la compulsione a "prendere", ad afferrare, ad attaccarci a persone, cose, idee ed esperienze nella speranza che ci diano una felicità duratura.

Il problema, come abbiamo già intuito, è che questa sete è insaziabile. Non appena beviamo, la sete ritorna, a volte più forte di prima. È questo meccanismo di brama e attaccamento che ci tiene prigionieri nel ciclo di Dukkha.

Per capire meglio come funziona, il Buddha ha descritto tre "volti", tre modalità principali con cui questa sete si manifesta.

 

I Tre Volti della Sete

 

 

1. La Sete di Piaceri Sensoriali (Kama-tanha)

 

Questa è la forma più ovvia di sete. È il desiderio di esperienze piacevoli attraverso i nostri cinque sensi (più la mente). Vogliamo vedere cose belle, ascoltare suoni armoniosi, gustare cibi deliziosi, sentire odori gradevoli, provare sensazioni fisiche piacevoli.

Non c'è nulla di intrinsecamente "cattivo" in questo. Il problema sorge quando ci attacchiamo a questi piaceri. La nostra felicità diventa dipendente da essi. Soffriamo quando non possiamo ottenerli, e soffriamo quando finiscono (perché finiscono sempre). È il desiderio che ci fa guardare "ancora un altro episodio" alle due di notte, o che ci fa sentire frustrati se il caffè del mattino non è perfetto come al solito.

 

2. La Sete di Esistenza (Bhava-tanha)

 

Questa è una sete più sottile e profonda. È la brama di "essere", di esistere, di diventare qualcuno. È l'attaccamento alla nostra identità, alla nostra storia personale, al nostro ego. Vogliamo che la nostra vita abbia un significato, vogliamo lasciare un'impronta, abbiamo paura di scomparire nel nulla.

Questa sete si manifesta come ambizione, come desiderio di fama, di potere, o semplicemente come la paura viscerale della morte e dell'annientamento. È l'energia che ci fa costruire e difendere costantemente l'immagine di "me" e "mio". È un attaccamento alla vita stessa e alla nostra continuità.

 

3. La Sete di Non-Esistenza (Vibhava-tanha)

 

Paradossalmente, anche il desiderio di non esistere è una forma di sete. Questa è la brama di annientare ciò che non ci piace. È l'avversione, l'odio, la rabbia. Vogliamo che una situazione dolorosa finisca, che una persona sgradevole scompaia dalla nostra vita, che un'emozione negativa svanisca.

Nei casi più estremi, può manifestarsi come desiderio di suicidio, pensando che l'annientamento di sé possa porre fine alla sofferenza. Ma anche questa, secondo la visione buddhista, è una reazione basata sulla brama: la brama di liberarsi di un'esperienza dolorosa. È spingere via la realtà, invece di comprenderla.

 

Non è il Desiderio il Problema, ma l'Attaccamento

 

È importante fare una precisazione. Il Buddhismo non dice che dobbiamo smettere di desiderare di mangiare un buon pasto o di voler bene a una persona. Il punto non è diventare apatici. Il problema non è il desiderio in sé, ma l'attaccamento cieco e la brama compulsiva che ne derivano.

La chiave è la saggezza. È possibile godere di un'esperienza piacevole senza attaccarvisi disperatamente. È possibile agire nel mondo senza essere schiavi dell'ego. È possibile affrontare una situazione difficile senza essere consumati dall'avversione.

Identificare Taṇhā e i suoi tre volti nella nostra esperienza quotidiana è il secondo, fondamentale passo del percorso. È l'atto di riconoscere la vera radice della nostra insoddisfazione. E solo vedendo chiaramente la radice, possiamo iniziare a lavorare per estirparla.


Aver compreso la causa della sofferenza apre la porta alla speranza. Per scoprire qual è la buona notizia che il Buddha ci ha dato, puoi continuare il percorso nella nostra guida principale.

➡️ Le Quattro Nobili Verità e l'Ottuplice Sentiero: La Mappa Buddhista per la Felicità